Da “La prima radice” di Simone Weil

  • Ottobre 12, 2019 00:34

«Da un biografo di Hitler sappiamo come, fra i libri che hanno
esercitato una profondissima influenza sulla sua gioventù, vi fosse un’opera di infimo ordine su Silla. Che importa il fatto che fosse di infimo ordine? Essa rifletteva l’atteggiamento della cosiddetta classe dirigente. Chi scriverebbe con disprezzo di Silla? Se Hitler ha desiderato il genere di grandezza che vedeva glorificato in quel libro e dovunque, non c’è stata colpa da parte sua. Quella è la grandezza, infatti, che ha raggiunto, quella medesima alla quale noi tutti ci inchiniamo quando volgiamo gli occhi al passato.
Verso quella grandezza noi ci limitiamo ad una bassa docilità spirituale; noi non abbiamo tentato, come Hitler, di afferrarla con le nostre mani. In questo egli vale più di noi. Se una data cosa viene riconosciuta come un bene, bisogna volerla. Astenersene è viltà. Immaginiamoci quell’adolescente, povero, sradicato, che vagabonda per le vie di Vienna, affamato di grandezza. Era giusto, da parte sua, essere così affamato di grandezza. Di chi la colpa se egli non ha saputo scorgere un altro genere di grandezza che non fosse quello del delitto? Da quando il popolo sa leggere e non ha più tradizioni orali, coloro che forniscono al pubblico idee di grandezza ed esempi che le illustrano sono coloro che sanno tenere la penna in mano.
L’autore di quel mediocre libro su Silla, tutti coloro che scrivendo su Silla o su Roma avevano reso possibile il clima nel quale venne redatto quel libro, o, più in generale, tutti coloro i quali, grazie al privilegio di usare la parola o la penna, hanno contribuito al clima culturale entro il quale è cresciuto Hitler adolescente, tutti costoro sono forse più di Hitler colpevoli dei delitti da lui commessi. La maggior parte di costoro è morta; ma coloro che oggi vivono sono simili ai loro padri, e il caso della loro data di nascita non li rende più innocenti di quelli.
Si parla di punire Hitler. Ma non lo si può punire. Voleva una cosa sola e l’ha avuta: essere nella storia. Sia che lo si uccida, o lo si torturi, o lo si imprigioni, o lo si umili, la storia sarà presente a proteggerne l’anima contro ogni colpo della sofferenza e della morte.
Qualunque cosa gli si infligga, si tratterà sempre di una morte storica, di una sofferenza storica; sarà storia. Come per chi è giunto all’amore perfetto per Dio ogni avvenimento, in quanto viene da Dio, è un bene, così, per quell’idolatra della storia, tutto quel che è storia è un bene. Anzi, egli è in una situazione anche più vantaggiosa; perché il puro amore di Dio abita il centro dell’anima; lascia la nostra sensibilità esposta alle offese; quell’amore non è una corazza. Mentre l’idolatria è una corazza; impedisce al dolore di penetrare fino all’anima. Tutto quel che si vorrà imporre ad Hitler, non gli impedirà di sentirsi una creatura grandiosa. E soprattutto non impedirà, fra venti, cinquanta, cento o duecento anni, a un piccolo ragazzo sognatore e solitario, tedesco o no, di pensare che Hitler è stato un essere grandioso, che ha avuto dal principio alla fine un destino grandioso, e di desiderare con tutta l’anima un eguale destino. In questo caso, guai ai suoi contemporanei.
La sola punizione capace di punire Hitler e di distogliere dal suo esempio i ragazzi affamati di grandezza che vivranno nei secoli avvenire, è una così completa trasformazione del senso della grandezza, che necessariamente lo escluda.» [Simone Weil, La prima radice. Preludio ad una dichiarazione dei doveri verso l’essere umano (1943)]