Il 25 aprile come memoria e come contemporaneità
Pubblichiamo di seguito l’intervento di un caro compagno del comitato che ci invita a una profonda riflessione. Lo stesso invito rivolgiamo a lettori e lettrici sperando possa portare a una discussione feconda, lontana dalle modalità aggressive, inconcludenti e autoreferenziali che abbondano sui social network.
“Ieri [domenica 25 NdR] abbiamo commemorato il 25 aprile a Novara, lo abbiamo fatto con questo spirito: abbiamo parlato dei partigiani di oggi che combattono contro i fascismi, la distruzione della Val Susa e di coloro che combattono per un salario.
La resistenza non nacque per la volontà della democrazia o della libertà intese come un ideale, ma come concretizzazione dei due termini.
La resistenza si fece forte sui fallimenti del regime e della guerra voluta da Mussolini, non su parole vuote.
Chi combatté sui monti aveva un altro sogno: una società diversa, di liberi ed uguali. Pensava ad una società dove la scuola, la sanità, la casa ed un reddito ci fossero per tutti. Da questi nacque la costituzione italiana.
Quello che occorre metabolizzare è che il 25 aprile ha un senso se si parte da questo principio: ogni individuo ha diritto non solo alla libera espressione, ma ha diritto a istruzione, cura, un lavoro ed un reddito sufficiente a mantenere se stesso e la propria famiglia.
Il 25 aprile come sola commemorazione unitaria è la negazione della resistenza. Trovo più coerenti coloro che negano il 25 aprile. Lo dico in modo molto pacato e sincero.
Come dico in altrettanto modo che la resistenza o si appoggia in tutto per tutto o non è. Chi parla di costituzione, chi sta con i partigiani, non può sostenere le politiche liberiste, in quanto queste sono l’antitesi della costituzione e della resistenza. I partigiani combatterono la miseria e la guerra; avevano il sostegno della gente perchè la gente era stanca della fame, dei lutti e delle macerie. Negare tutto questo è negare la resistenza stessa.
Detto quanto sopra, ora andiamo avanti: gli effetti pratici della pandemia li vedremo più avanti quando ci sarà lo sblocco dei licenziamenti, quando non ci saranno più nè rdc nè quota cento, quando si accorgeranno di aver prodotto troppo in questi mesi di lockdown, colpevolmente prolungato. Lo vedremo quando la sovrapproduzione mondiale produrrà licenziamenti, riduzione dei salari, sfratti di massa. Lo vedremo perchè il recovery plan sarà dedicato, soprattutto, a creare disoccupazione, basta vedere la piccola quota che andrà a sostenere le tre voci fondamentali del sociale: istruzione, sanità ed inclusione sociale. I soldi andranno alle imprese, ovviamente sono liberisti coi soldi pubblici, le quali digitalizzeranno i sistemi produttivi producendo esuberi non pensionabili, ma ricattabili. I padroni prenderanno i soldi, noi li pagheremo.
Ecco, tutto questo produrrà miseria, fame e macerie… lo stesso che produsse il fascismo.
Per questo essere partigiani oggi, con la memoria del passato, significa organizzarsi alla lotta per la conquista di quei valori reali per cui i nostri vecchi hanno combattuto.”